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      Decisa così la quistione, noi dovemmo pagare i danni non pure ai mercanti inglesi, ma ai francesi ancora: i danni poi che ebbe il nostro commercio per le rappresaglie inglesi chi li ebbe se li dovette tenere. Dopo che furono partite tutte le navi inglesi e le francesi, un bei giorno vedemmo uscire dal porto militare tutta la squadra nostra la quale andò aggirandosi un pezzo pel golfo, e facendo mostra di sé ed esercizi a fuoco: ma una di quelle navi investì presso Castellammare e tutte dopo due giorni tornarono in porto. Io che mi sentivo napoletano, davo ragione al Re, il quale avrebbe dovuto avere il senno di non fare la concessione, ma fattala mi aspettava che avesse resistito alla minaccia, si fosse mostrato uomo e Re, avesse almeno salvato l’onore, e alle bombe avesse risposto con qualche palla infocata. Mi addolorò non il danno, ma il disprezzo che venne nel regno prima per l’imprudenza e poi per la paura del Re.
      Finita questa briga, la polizia rimandò il nostro processo a la commissione suprema, senza aver potuto aggiungere altro che una nota del governo austriaco, il quale avendo arrestato Giovanni Vincenti di Verona, gli trovò un diploma simile ai nostri, e dimandato come lo aveva avuto rispose non sapere nulla, non sapere quale nemico glielo avesse posto tra le robe. E però la commissione vedendo che il processo era ancora troppo magro ordinò un altro impinguamento, ed affidò la nuova istruzione al giudice criminale signor Giuseppe Neri, uomo di buona fama, cognato del ministro Pietracatella, e da non temere della polizia, né farsene imporre.


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Ricordanze della mia vita
Volume Primo
di Luigi Settembrini
pagine 271

   





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