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      La colonna ed i teschi durarono sino al 1860.
      Il carcere che ora si vede non è interamente quello che fu ideato e costruito dagli spagnuoli: aveva tre piani, ed ora rimangono i soli due superiori, ché il terzo più basso, essendo colmato il fosso che ricingeva tutto l’edifizio, è rimasto chiuso e sotterra, e sono oscure ed enormi caverne che io vidi a lume de’ torchi. Vi era ancora un gran numero di criminali, bui, umidi, senz’aria, veri sepolcri; e di questi i più tetri furono murati, i rimasti si chiamano approvati. Le finestre erano alte dal pavimento, e strette come feritoie: ora sono dilargate e bassate. Il Celano ci ha lasciato scritto che ai suoi tempi in questo carcere, che allora aveva tre piani, erano tormentate ben quattromila creature umane: nel 1841 non potevano starci millecinquecento. Tanta parte ne era stata abolita, e quella che rimaneva era crudele e nefanda.
      Il carcere superiore chiamasi de’ nobili, l’inferiore del popolo: e vi si entra per due porte diverse, sopra una delle quali è dipinto un Cristo che con la croce addosso sale il Calvario, e sopra l’altro un altro Cristo nell’atto d’essere inchiodato su la croce, due pitture fatte con l’intenzione di dare conforto e speranza a chi entra. Noi entrammo nel carcere del popolo, ma rimanemmo nel piano superiore in un luogo appartato detto provvisorio, che è uno stretto corridoio nel quale sono cinque criminali che si chiamano le Camerelle, Marco Perrone, la Lampa, lo Sperone, l’Asprinio, che è il più freddo: tre altri erano murati e serbavano ancora i loro nomi, il Gallinaccio, la Monacella, le Farfarelle.


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Ricordanze della mia vita
Volume Primo
di Luigi Settembrini
pagine 271

   





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