Il Musolino diceva: “Quando io fui arrestato questo nome non c’era in quella carta, perché il verbale non ne parla: dunque ce lo avete scritto dipoi, e con la stessa mano che ha scritto il carattere della lettera, che sono un carattere”. E questo fece gran colpo nei giudici.
A la mia volta io presi la parola, discorsi brevemente del Barbuto tristo per testimonianza anche del vescovo, e falsatore del mio carattere per confessione sua medesima, discorsi delle lettere non mai segrete, come avevano dichiarato i periti chimici stessi adoperati dalla polizia, e infine dissi: “Signor presidente, se per dichiarare settario un uomo basta presentare una o due lettere di suo carattere, io ne presento quattro di carattere vostro, e dico che secondo esse siete settario anche voi. Ho fatto contraffare il carattere vostro per dimostrarvi quanto è facile foggiare una lettera per rovinare un uomo”. Il presidente all’udire queste parole cominciò a stridere con la sua vociolina: “Questo è un insulto.” “È una prova, signor presidente, non mai un insulto a voi”. E il Laudati ridendo: “Presidente mio, statti attento che sti guagliuni ti fanno trovare qualche cambiale”. Il presidente brontolava e chiocciava: tutti i giudici vollero vedere le carte, ed egli solo no, e disse al cancelliere: “Restituitegli quelle scartoffie”. “Scusate, presidente,” disse il Laudati, “queste carte sono state presentate, e la commissione deve decidere che cosa bisogna farne”. Squillò il campanello, noi uscimmo fuori, dopo un’ora (e dovettero combattere) fummo richiamati, e ci fu letta la decisione che quelle carte rimanevano a far parte del processo.
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