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      Qui finisce il carcere de’ nobili dove erano circa quattrocento uomini tormentati dal puzzo, dal buio, dagl’insetti, non mai confortati dal sole né dall’aria pura, chiusi per ogni parte da ferri, mescolati insieme giudicabili e giudicati, imputati politici ed assassini, lo studente che tardava a prendersi la sua carta di soggiorno, e chi aveva fatto in pezzi la moglie, i ladri, i falsari, gli uomini più perduti e nefandi: e spesso il letto dell’uno è vicino a quello dell’altro. Chi grida, chi canta, chi bestemmia, chi siede sul letto e fuma, chi passeggia muto e pensoso, chi scrolla i ferri delle finestre e freme; diverse immagini di dolori profondi. La notte poi quando sono chiuse le finestre, nei cameroni vedi e tocchi un’aria crassa, un fumo denso formato dal tabacco misto a’ miasmi che esalano da tanti corpi, e dalle tine degli escrementi per modo che ti senti serrare la via dello spirito, e se non venissero i custodi ad aprire le finestre due volte la notte vi si morrebbe d’asfissia. Cinque volte il dì si battono i ferri, a ventiquattr’ore, a mezza sera, a mezza notte, al far del giorno, a ventun’ora. Viene un custode accompagnato da tre chiamatori, uno de’ quali porta appesi a le spalle molti mazzi di chiavi per aprire usci ed imposte, un altro porta una lanterna o un torchio di pece, ed un altro un martello con cui batte i ferri in aspra cadenza. E affinché non manchi nessuna umiliazione ai prigionieri, la mattina e la sera sono contati da un custode, il quale si mette a la porta fra i due cameroni, e manda intorno, come bracchi, i camorristi, che raccolgono i prigionieri, e glieli fanno passare innanzi.


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Ricordanze della mia vita
Volume Primo
di Luigi Settembrini
pagine 271