Quelle limosine, che non erano poche perché i napoletani sono pietosi e danno ad ogni apparenza di sventura, non servivano né a sfamare né a ricoprire i disperati ma andavano tutte in mano ai camorristi che davano la mancia ai custodi, e qualche cosa al carcerato che non era veramente bisognoso ma faceva quel mestiere per acquistar grazia presso i camorristi e per lucrare qualcosetta. Quest’uso di far chiedere la limosina ai carcerati oggi non c’è più, ma allora c’era fra tante altre vergogne che c’erano: anzi io ricordo che a Caserta andavano per le vie due carcerati ammanettati e seguiti da un soldato armato cercando la limosina, ed io fanciullo ne sentivo una pietà grande e davo sempre quello che potevo. A la finestra dunque non si poteva stare per l’orribile puzzo e le voci che salivano da basso, e per riflesso del sole che feriva di contro: né si poteva camminare pel carcere fra tanta gente diversa: però ce ne stavamo nella stanza a scrivere, o leggere, o udire qualche carcerato che veniva a chiedere consiglio e ci raccontava i casi suoi. Povera gente! spesso era una pietà grande a udire quelle sventure e quei delitti.
La bottiglia portava le lettere e mia moglie mi scriveva puntualmente ogni giorno. “Sono stata dal ministro, e l’ho trovato come un istrice. Mi ha detto: ‘L’affare non dipende da me, ma dal Re.’ ‘Ed io anderò dal re’. ‘Andateci pure’.” Altre volte mi scriveva: “Ho chiesto l’udienza al Re. L’usciere maggiore don Giovanni Lombardi ed altre persone di corte, tutti fedelissimi servitori, mi fanno cortesia e mi dicono di parlare forte al Re. Tutti abborriscono Del Carretto, e vorrebbero vederlo distrutto”. “Finalmente ho avuto l’udienza dal Re. Sono entrati prima i preti, poi le signore.
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Caserta Andateci Giovanni Lombardi Del Carretto
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