’ ‘Lo so, ma non sarebbe né giusto né generoso’.” Così pregava mia moglie, e si faceva rispettare, né mai alcuno le disse parola se non rispettosa.
Nelle lettere quotidiane, delle quali mi rimangono una decina delle mie, e nessuna di quelle che ella scriveva a me e che io dovevo distruggere, si parlava de’ nostri dolori, e di Raffaele che già andava a scuola, e della Giulia che era molto ammalata. “Questa cara e sventurata creatura,” mi scriveva mia moglie, “sta le giornate intere con le manine agli occhi seduta sopra una seggiolella, e poggiata il capo ad una seggiola comune. Se viene qualcuno a vedermi, ella solleva il capo e le manine per guardare, e mi dice: ‘Mammà, questo è papà?’ ‘No, figlia mia, non è papà?’. Ed ella si acconcia un’altra volta nella sua posizione, e non parla più. Sta molto male: io te la manderò uno di questi giorni, perché temo, e non so se potrò mandartela un’altra volta. Benedicila”. Venne dopo due giorni in ora in cui non c’era gente all’udienza, e il custode me la fece entrare. Stava con le manine agli occhi, poggiata su la spalla della donna che la portava: io me la presi, e se la baciai! se la benedissi! se la coprii di lagrime! ella si colorì un poco nelle guance, e mi sorrise: e da quel giorno la mia creatura cominciò lentamente a migliorare.
Intanto l’Escalonne che era con noi scrisse varie lettere al ministro di Francia duca di Montebello, figliuolo del maresciallo Lannes, chiedendo come francese la sua protezione, e dicendo che dopo di essere stato giudicato ed assoluto rimaneva ancora in carcere, e non contento di scrivere e mandare queste lettere ne lesse alcuna ad un lucchese carcerato come falsario, il quale lo denunziò all’ispettore.
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