” “Napoli no.” “Ebbene mandatemi in esilio, purché sia presto.” “L’esilio è pena, e non vi si può dare. Basta, riferirò.”
Finalmente il 14 ottobre due ore dopo il mezzodì fummo chiamati in prefettura il Musolino, l’Anastasio, il Bianchi, ed io; e ci venne anche l’Escalonne: ed il medesimo commessario dopo averci fatto aspettare un pezzo ci disse: “Stanotte partirete con la diligenza per le Calabrie, ognuno al suo paese: voi, signor Settembrini, che siete napoletano potete andare a casa vostra”. Abbracciai i compagni, diedi la mancia ai birri, ed uscii solo. Era verso sera e piovigginava, e io studiavo il passo: come giunsi a la casa dove abitava mia moglie, dimandai ad una donna se lì abitasse una signora che aveva il marito carcerato: la donna mi rispose di sì, mi guardò fiso, indovinò chi ero, e diede un grido: “Il marito della signora”. Raffaele mi corse incontro nelle scale, e mi diceva: “Papà, non tornare più carcerato”; mia moglie con un sorriso di gioia mi abbracciò, la Giulia mi strinse le braccia al collo e non mi lasciava. Dopo tre anni e mezzo di prigionia io mi trovai nella mia famiglia; avevo i figli su le ginocchia, mia moglie accanto, e la vecchiarella sua mamma piangeva e ci benediva. Io non sapevo altro che ripetere i loro cari nomi, Gigia, Giulia, Raffaele: “Ora finiranno i guai nostri, ora potrò lavorare”.
XVII - Ritorno al mondo
“Sei stato tre anni e mezzo in prigione, hai perduto una cattedra acquistata con onore, la tua famiglia ha sofferto tutti i dolori e tutte le privazioni, tu ingoiate tante amarezze, e tutto questo perché? Per una poesia, anzi per una pazzia.
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