Tutti se ne lamentavano, finanche gli oppressori piccoli che erano schiacciati dai grossi: onde ciascuno era persuaso che se pochi arditi levassero una bandiera e si mantenessero per quindici giorni, gli oppressi, che erano tutti, correrebbero a loro e rovescerebbero un governo stolto e malvagio. Questa persuasione spiega i moti napoletani tanto frequenti, i quali senza essa sarebbero una pazzia. Basta cominciare, e durare un po’, si diceva da tutti, e non mancavano uomini arditi che rispondevano: “Cominceremo noi”, e se fallivano, nei incolpavano la fortuna, e c’erano altri pronti a ritentare la pruova. Era giusta quella persuasione? A quelli che vogliono il bene soltanto da la mano di Dio pareva di no; agli animosi pareva di sì, ed ebbero ragione dal tempo.
Mentre noi eravamo ancora in carcere nel 1841 la città di Aquila levò il grido di costituzione. Avevano presi accordi coi paesi vicini, e con altre città degli Abruzzi, e con Napoli dove dicevano che un reggimento nella festa di Piedigrotta dell’8 settembre si solleverebbe, ed essi l’8 settembre si sollevarono, e uccisero il comandante le armi della provincia colonnello Gennaro Tanfano odiatissimo. Ma né i paesi vicini, né Napoli si mosse, e gli Aquilani rimasti soli provvidero ai casi loro, e i capi si salvarono con la fuga. Fu spedito all’Aquila un generale, e furono tratti innanzi la commissione militare centotrentatré accusati, ne furono condannati cinquantasei, quattro fucilati. Il governo sospettò che il marchese Luigi Dragonetti avesse dovuto aver parte in questo affare, ma non avendo pruove, si contentò di relegarlo tra i frati di Montecassino.
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