Fallito il tentativo dell’Aquila, ecco Cosenza offerirsi pronta a ritentare la pruova. Ci erano simiglianti accordi, ed il disegno di entrare in Cosenza, farvi la rivoluzione, e poi ritirarsi su i monti, e formare bande, e chiamare all’armi le Calabrie, la Sicilia, il regno. Il 15 marzo 1844 una mano di giovani armati entrano nella città, percorrono tutta la via della Giostra, si fermano a Portapiana dove piantano la bandiera tricolore, e attendono i compagni. I gendarmi dopo qualche esitazione escono comandati dal capitano Galluppi, figliuolo del filosofo, il quale li assale a cavallo. “Capitano, ritiratevi, noi non l’abbiamo con voi, e non vogliamo sangue”, disse una voce. Ma il Galluppi spronò il cavallo, e una palla lo colpì in un occhio e lo fece cader morto. Cominciarono le fucilate: la bandiera fu difesa ostinatamente e vi morirono cinque intorno. Caduta la bandiera i giovani si dispersero e uscirono della città, e ciascuno si nascose, e parecchi non furono conosciuti. Si venne agli arresti, ed al giudizio della solita commissione militare: sette furono fucilati: altri quattordici condannati a morte furono per grazia mandati all’ergastolo, molti altri in galera diversamente tormentati.
Intanto in Napoli la polizia arrestò Carlo Poerio, Francesco Paolo Bozzelli, Matteo de Augustinis, Mariano d’Ayala, Michele Primicerio, Cosimo Assanti, Damiano Assanti, ed altri, creduti capi ed ordinatori di tutte le rivoluzioni, e li chiuse in Castel sant’Elmo.
La rivoluzione di Cosenza, anche per questi arresti, levò un certo grido, ed i giornali ne parlavano, ed un giornale di Malta, Il Mediterraneo, dando come fatto ciò che era stato disegno, diceva che gl’insorti s’erano ritirati su le montagne, che erano mille e cinquecento, che in vari scontri avevano vinti e messi in fuga i soldati del re, che le Calabrie erano tutte sollevate; “oh, chi va ad aiutare e guidare quei bravi calabresi?
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