Ho detto questo fatto che pochi sanno, perché si è parlato sempre dei Bandiera come figliuoli d’un ammiraglio e più noti, e pochissimo del Moro. Eppure io ho letto alcune lettere non belle di Attilio Bandiera a re Ferdinando e al ministro Delcarretto, le quali stanno nell’archivio di Napoli, e a me furono mostrate e fatte leggere dal direttore Francesco Trincherà, il quale le serbava chiuse in un portafogli con altre carte riguardanti Agesilao Milano. Il Nivaro ebbe perdono, e visse libero: quelli che presero quei nobili giovani furono fatti cavalieri dell’ordine di Francesco I, ebbero pensioni, impieghi, favori: la città di San Giovanni in Fiore ebbe pubbliche lodi di fedeltà, larghezze, remissione di alcuni dazi. Degli altri fatti avvenuti prima nel regno si era parlato poco, perché il Governo ne aveva detto quello che voleva, e i condannati erano regnicoli ed ignoti: di questo dei Bandiera, uffiziali austriaci e dei loro compagni appartenenti a diverse parti d’Italia, si fece un gran parlare in Italia e fuori, e re Ferdinando ebbe biasimo di crudele che fece morire nove uomini che avevano fatto come una mascherata di rivoluzione: e che avrebbe fatto di più se quelli gli avessero sollevata una provincia davvero, e lo avessero combattuto? Ferdinando non usò clemenza, ma non violò le leggi.
C’era un’altra specie di cospirazione senza impazienze violente, una cospirazione lenta, continua, palese, nella quale prendevano parte tutte le persone colte, tutti gli uomini di buon senno, e parecchi ancora di quelli che stavano intorno al principe, e gli erano grati per benefizi ricevuti, ma non potevano approvare tutti gli atti del suo governo, e le prepotenze della polizia, e l’onnipotenza del confessore monsignor Cocle.
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