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      Alcuni sollevavano quistioni economiche, nelle quali era una velata censura del presente, e vagheggiavano l’unificazione monetaria in Italia; altri trattavano quistioni storiche, e Carlo Troya andava pubblicando i volumi della sua storia d’Italia; altri stabilivano in Napoli il primo asilo d’infanzia, quasi a rimprovero del governo che nulla faceva per rialzare la plebe; altri, specialmente il Puoti, si affannava negli studi della lingua, e nella lingua cercava suscitare il sentimento ed il pensiero italiano; altri, e fu Emmanuele Melisurgo, chiedeva di fare la ferrovia per le Puglie, e formava una compagnia di capitalisti, e rizzava la prima stazione, e pregò il re d’inaugurarla, ed egli promise, ma non vi andò, e il giorno appresso andò ad inaugurare la chiesa dirimpetto i Granili; e quella ferrovia non fu mai fatta, e Ferdinando di poi ne fu punito; altri finalmente notavano le stoltezze e le ingiustizie del governo, e ne parlavano senza paura, e lanciavano il motto che era subito ripetuto, e taluni anche fedelissimi non risparmiavano neppure il re. Il marchese di Pietracatella, presidente dei ministri, diceva in sua casa agli amici: “lo gliel’ho detto molte volte. Mettete in carrozza monsignore, e mandatelo ai confini: licenziate il Gendarme , a cui avete dato troppo potere; dividete in due il mostruoso ministero dell’interno; ed il governo anderà senza innovazioni. Noi leggi ed istituzioni abbiamo buonissime, gli uomini che si scelgono sono cattivi. Ma egli non vuoi sentire”. “È lui la cagione di tutti i mali,” diceva Giuseppe Caprioli, già segretario del Re, e presidente della consulta, e divotissimo ai Borboni; “è lui che non sa fare il Re, e rovinerà se stesso ed il regno.


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Ricordanze della mia vita
Volume Primo
di Luigi Settembrini
pagine 271

   





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