Siamo pure i primi, ma che dobbiamo sperar noi? Il Gioberti non ha voluto dirlo, ma bisogna che si sappia, e se ne discuta il come. Prima di ogni altra cosa trovar modo di liberarci da lo straniero; e stringerci intorno al papa, e ai nostri principi naturali. Così diceva Cesare Balbo nel suo libro Le speranze d’Italia, che fu pubblicato un anno dopo, e non ebbe la forza e la potenza del Primato. Era cosa che sapevamo e volevamo da molti secoli. “Non è solo lo straniero ma il papa che è nemico d’Italia, e vi ha chiamato tutti gli stranieri, ed è la cagione di ogni divisione, di ogni corruttela, di ogni servitù nostra,” diceva il poeta Giambattista Niccolini nel suo Arnaldo, che fu letto ed imparato a mente dai giovani. Insomma era come una grande discussione, che il Gioberti pose con arte e fece accettare da tutti, e ognuno vi disse la sua opinione, e il concetto si chiarì e dilargò, e più tardi divenne azione, e poi fatto.
Intanto nel 1845 si raccolse in Napoli il settimo congresso degli scienziati italiani. Il primo era stato in Pisa nel 1839, e negli anni seguenti in altre città d’Italia: I principi e la stessa Austria li avevano accolti nei loro stati; solo papa Gregorio non ne volle in casa sua. Il ministro dell’interno Nicola Santangelo, che pur fece molte cose buone e sarebbe ingiustizia dimenticarle, lo propose al Re, e lo difese: il Del Carretto e qualche altro consigliere della corona dicevano di no; ma spirava l’aura mossa dal Gioberti, e il Re, che sapeva di essere tenuto nemico di ogni sapere, per mostrar falsa l’accusa, volle il congresso ed ordinò che gli scienziati fossero accolti ed ospitati splendidamente, ed invitati anche a corte.
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