Le grandi potenze d’Europa, fra le quali anche l’Austria si messero d’accordo con l’Inghilterra, e fecero presentare al papa un famoso memorandum nel quale lo consigliavano di togliere la cagione di tutti quei commovimenti, di ordinare i municipi, instituire consigli provinciali, far parte ai laici negli uffici dello stato, non permettere abusi, perdonare a chi aveva mancato. E il duro monaco rispose la chiesa governare come buona madre, le leggi e le istituzioni dello stato essere ottime anzi sante; “se i rivoltosi usciranno dalla compressione in cui trovansi, se da le mani dei chierici si togliesse l’autorità temporale, il papa avrà bisogno d’un Avignone, e i principi che dominano la penisola avranno nel centro d’Italia il focolaio d’un incendio che roventerà le loro corone”. Aveva ragione, e governò spietato e da ubriaco.
Nel 1843 fu un altro moto in Romagna, e fu anche oppresso. Nel 1845 ce ne fu un altro anche infelice cui seguirono arresti e condanne crudeli. Una banda di dugento uomini cercò rifugio in Toscana, dove furono accolti e sovvenuti di ogni cosa. Erano nudi, affranti, addolorati, mettevano pietà in ogni anima gentile, andarono a Livorno dove si imbarcarono per l’esilio. Era allora in Toscana Massimo d’Azeglio, che al veder tanta sventura sentì gonfiarsi il cuore, e scrisse un libretto, Gli ultimi casi di Romagna, che fece gran rumore e gran bene. Lo pubblicò in Firenze col suo nome, e non temé i rigori della polizia; e scacciato anch’egli in esilio uscì come in trionfo salutato da tutte le città onde passava.
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