Questi fatti accendevano gli sdegni di tutti, accrescevano il coraggio, scrollavano il governo: i prigionieri erano lodati, visitati dai loro conoscenti o da persone che desideravano conoscerli: l’andare in prigione era come una moda, e tutti ne ridevano. Tra i prigionieri era Carlo Poerio, arrestato sin dal 7 settembre dopo i fatti di Reggio, uomo di non mediocre ingegno, facile parlatore, arguto, astuto, onesto, principe de’ cospiratori, tirava a sé tutti i liberali che lo stimavano e lo amavano, e dipendevano da lui; onde egli quantunque in prigione parlava con tutti, consigliava, disponeva, ordinava ogni cosa, rinfocolava gli animi, prometteva, assicurava: e così per una strana sciocchezza del governo, il carcere era mutato in un ritrovo di liberali. Nella reggia il Re non si occupava che di affari di polizia coi due commessari, e con altre sue spie particolari con le quali s’intratteneva lunghe ore. Spesso malediceva Pio IX che aveva mosso il vespaio, e spregiava come deboli Leopoldo e Carlo Alberto; ed entrando nel Rodomonte diceva: “Anderò piuttosto a fare il colonnello in Russia o in Austria, che cedere e mostrare debolezza”. E ordinava si cacciassero di Napoli gli studenti, perché pieni delle nuove idee, e facili ad accendersi e maneschi: e subito molti poveri giovani furono cacciati a fu ria: ma gli sdegni, le parole, i lamenti di tutti furono tanti, che l’ordine fu revocato. Poteva durare lungamente un governo che non sapeva essere né interamente tristo né veramente buono?
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