Non conoscevo nessuno, avevo udito parlare tanto bene del dottore Stilon, e pensai di rivolgermi a lui. Era questi di origine calabrese, d’un paese presso Monteleone, e da giovane, per la rivoluzione del ‘20, si era fuggito sopra una nave inglese, ed era farmacista e medico, e molto riputato in Malta, dove era stabilito da lunghi anni, e si mostrava amico di tutti i napoletani che lì capitavano. Mi accolse cordialmente, venne con me a trovarmi un alloggio, mi usò cortesie, mi trattò come amico.
La prima cosa che mi colpì in Malta fu leggere per tutte le cantonate grandi avvisi di vendita di mobili di don Carlo di Borbone principe di Capua. Mi fece pena anzi dolore a vedere uno dei reali di Napoli così vituperato, e ne domandai al dottore, il quale mi rispose: “Muore di fame, e non può uscire di casa, se no i creditori l’arrestano.” “È una cosa che fa pena.” “Non tanto per lui quanto per la moglie che è un’ottima signora inglese, e per due angioli di figliuoletti.” “Re Ferdinando certamente sa tutto questo, e non se ne cura. E se egli è così crudelmente ostinato contro un fratello, che ne possiamo aver noi?”
Malta piccola, bella, pulita, lucente, ha le donne con gli occhi parlanti, ed io non vidi donna per vecchia e deforme che avesse gli occhi brutti. Subito mi trovai in mezzo agli esuli, e li conobbi tutti. Agostino ed Antonio Plutino di Reggio, Carlo Gemelli di Messina con altri messinesi che avevano fatto a le schioppettate il primo settembre, Filippo Agresti della causa di frate Angelo Peluso, l’avvocato Luigi Zuppetta e Giorgio Tamaio, e Luigi Fabrizi di Modena, e tra molti altri di cui non ricordo i nomi, Lorenzo Borsini, toscano, che era piacevole poeta, ed aveva fatto il prete, il giornalista, il tabaccaio, il cantante, e in Malta faceva l’occhialaio, e aveva due figliuoli, e io andava sempre a la sua bottega per udirlo parlare, ché diceva le più nuove piacevolezze.
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