” rispondeva alcuno, “e noi per ventisette anni non l’avevam conosciuto!” In tutti gli uomini di senno stava la ferma persuasione che il Re era di mala fede, che tutti i Borboni per tradizione di famiglia rappresentano la monarchia assoluta che è stata la loro grandezza, che cedono sforzati da necessità, ed all’occasione ripigliano il pieno potere, che Ferdinando aveva data la costituzione per imbrogliare le cose non per ordinarle, che chi pochi giorni innanzi aveva fatto bombardare Palermo, Messina, Reggio non era a un tratto diventato un angelo. “Stiamo attenti, smettiamo le feste, attendiamo a lo stato, ordiniamo la guardia nazionale, provvediamo a le provincie”. Ma le feste continuarono, anzi crebbero come si seppe che Carlo Alberto l’8 di febbraio e Leopoldo di Toscana il 10 avevano dato anche essi le loro costituzioni. Feste lì per la nostra, feste qui per le loro. La rivoluzione di Napoli cominciò con l’agitare de’ fazzoletti, crebbe con le grida e le chiacchiere, doveva finire con le schioppettate.
Il 24 febbraio fu solennemente giurata la costituzione dal Re nella chiesa di San Francesco di Paola che è dirimpetto la reggia. Il Re vi andò a piedi tra due file di guardie nazionali, e vedendo tra queste un giovane Michele de Chiara che aveva la coccarda tricolore e gli andava da presso, gli disse: “Togliete cotesta coccarda: non sono i colori napoletani”. Il giovane se la cavò, e la pose in tasca. Giurò il re a voce alta, giurarono i principi reali, tutti gli alti uffiziali dello stato, e le milizie: molti siciliani che avevano uffici civili o militari in Napoli non vollero giurare, dicendo non sapere quale costituzione avrebbe la Sicilia.
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