Furono altre feste ed allegrezze, ma i vecchi scrollavano il capo e dicevano: “Ha giurato, e spergiurerà come il nonno Ferdinando I”.
Dopo due giorni viene un corriere che chiede parlare al Re e dargli un dispaccio: il maggiordomo dimanda: “Che novelle?” “Rivoluzione a Parigi, fuga di Luigi Filippo, repubblica in Francia”. “Madonna santissima!” gridò il maggiordomo e svenne. Questo fatto mi fu narrato da Carlo Poerio. Fu uno spavento, e molti dicevano tornare il 1793, ma gli anni non tornano, come gli uomini non rinascono.
Intanto il pensiero più grave che occupava tutti era la Sicilia che rifiutava lo statuto napoletano del 10 febbraio, e rispondeva sempre volere la sua costituzione del 1812 accomodata ai tempi dal suo parlamento, voler essere un regno tutto diviso, indipendente, con un viceré che fosse o principe reale o cittadino siciliano, ed avesse poteri amplissimi, che i ministri sarebber nominati dal Re ma stessero in Palermo, non più milizie napoletane in Sicilia; che per gli affari comuni ai due regni sarebbe una commissione mista scelta tra i membri di ciascun parlamento. Queste condizioni parevano dure non pure al Re, ma a parecchi napoletani e italiani, i quali dicevano e stampavano che la Sicilia separandosi da Napoli si separava dall’Italia, che questo sicilianismo era gretto, era un rancore antico di Palermo contro Napoli che è metropoli del regno, che i popoli fratelli debbono unirsi con le leggi e le istituzioni simili che producono costumi e sentimenti simili, che le due costituzioni separerebbero più del mare e per sempre i due popoli; che lo statuto del 10 febbraio era stato dato non per le grida di Napoli ma pel sangue di Palermo, lo accettassero adunque come loro conquista.
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