La Sicilia si staccò da Napoli: il suo parlamento si aprì in Palermo il 25 marzo. Ferdinando II fece una sua protesta, e aspettò tempo.
Il ministero, che non aveva saputo trovar modo di comporre la grande quistione della Sicilia, non cadde ma si trasformò; e di sette che erano i ministri ne comparvero dieci il giorno 6 marzo, perché si disse che i primi non erano d’accordo, e ci dovevano entrare più liberali; e si volle anche dar luogo ad ambizioni novelle. E fu rimpastato così: il duca di Serra Capriola, presidente; il barone Bonanni agli affari ecclesiastici; Il principe Dentice a le finanze; il principe di Torella all’agricoltura e commercio; il Bozzelli all’interno; il principe di Cariati agli affari esteri; Degli Uberti alla guerra; Giacomo Savarese ai lavori pubblici; Carlo Poerio all’istruzione pubblica; Aurelio Saliceti a grazia e giustizia. Il Tofano salì a direttore di polizia, e in suo luogo a prefetto di polizia un altro avvocato Teodorico Cacace. E come se dieci fossero pochi, alcuni ministri si scelsero loro coadiutori con centocinquanta ducati il mese, e poi tutti vollero un cencinquanta.
Carlo Poerio mi offrì il posto di uffiziale di ripartimento, o capo divisione, nel ministero d’istruzione pubblica, io l’accettai, e fui nominato il 22 marzo. Ci stetti quasi due mesi, e non ricordo di aver fatto nulla, e pure avrei voluto fare qualcosa. Mi trovai in una baraonda: tutti venivano, tutti chiedevano, e chi non chiedeva per sé raccomandava altri, o dava consigli; ed indi a pochi giorni uscì il Poerio, ed entrò ministro l’Imbriani, che non stette un mese e si ritirò, e il ministero fu preso da Carlo Troya: tre ministri in cinquanta giorni.
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