Tutto quel vociare che facevano i napoletani era come lo stridulo ronzio delle api quando vengono a zuffa tra loro: se vi getti un pugno di terra la battaglia finisce. Bisognava un pugno di terra per farli tacere e chetare, bisognava una mano forte, e non v’era; anzi uomini anche sennati dicevano che bisognava andare innanzi, e il ministro Saliceti osò consigliare il re di mettersi a capo della rivoluzione per padroneggiarla, e ricordarsi di Luigi XVI e di Napoleone, l’uno a la coda della rivoluzione vide sparire la monarchia nella repubblica, l’altro alla testa della rivoluzione fa sparire la repubblica nell’impero. Queste parole spiacquero al re, il quale credette vedere nella faccia del Saliceti una somiglianza al Robespierre. Non ci volle altro per dirlo repubblicano terrorista. Era egli un uomo che andava diritto al suo scopo, breve nel dire e nel fare. Cominciò a scopare i magistrati indegni; e propose ai suoi colleghi questo decreto: “Tutti i gesuiti usciranno dal regno, i loro beni sono incamerati”.
I colleghi se ne spaventarono, “sì, no”. L’altro giorno gran popolo va a gridare innanzi a la porta de’ gesuiti, i quali protetti dalle guardie nazionali, escono, vanno ad imbarcarsi, portano un vecchio ammalato sopra un seggiolone a spettacolo per commuovere il popolo. Sbarcano a Baia, e travestiti tornano in Napoli quelli che vogliono tornarvi. Di questa cacciata fu incolpato principalmente il Saliceti, che divenne segno all’odio di tutti i gesuitanti e lo spauracchio di tutti gli uomini fiacchi che sono la massima parte.
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