La plebe stette cheta, dissero pel decreto, io credo per le fucilate.
La legge provvisoria su la guardia nazionale fu pubblicata il 13 marzo; ma la guardia nazionale non fu mai né ordinata né istruita. Chiunque avesse fatto scrivere il suo nome nei registri, si metteva una piastra d’ottone al cappello, e senz’altro era guardia nazionale. Nei primi giorni di febbraio era bello il vedere moltissimi nobili giovani assai pulitamente vestiti, dimenticar le delizie, gli spassi e persino le donne e comparire gioiosi col fucile in mano e mantener l’ordine e la quiete nella città; ma dopo un mese ogni tristo, ogni spia, ogni più feccioso uomo prendeva il fucile, ed era guardia nazionale, e faceva ciò che ei ci voleva; ed uomini vigliacchi e malvagi ottennero gradi di ufficiali. Ci erano i buoni e i bravi, ma pochi.
Un’altra legge del 17 marzo scioglieva la gendarmeria: alcuni formarono i reggimenti detti dei carabinieri, altri furono guardie di sicurezza interna seguitando a trattar funi e manette. Questo scioglimento mise in gravi sospetti i soldati, ai quali si andava dicendo che si aveva in pensiero di sciogliere l’esercito perché la guardia nazionale bastava a tutto. I soldati vinti in Sicilia per inettezza de’ loro capitani, trafitti dalle ingiurie e dalle beffe che contro di loro scrivevano i siciliani, come in Napoli furono tenuti chiusi nei quartieri, raramente uscivano, e taluni di essi furono anche fischiati nelle vie. Si rodevano per questi sconsigliati ed ingiusti disprezzi, si rodevano a vedere le insegne di ufficiali su certi ometti di stoppa a cui dovevano fare il saluto militare.
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