Chi pensa quanto è cocente la gelosia di mestiere non crederà lieve questa cagione di odio che l’esercito portava a la guardia nazionale. I soldati stavano cagneschi contro tutti i liberali; ma come conoscerli? dal vestito, e li chiamarono nazionali. Vergogna, desiderio di vendetta, disprezzi, sospetti, gelosie, interesse, e poi star sempre su l’armi e palpitanti, non dormire, non posare, e chiusi come belve nei quartieri dove era vietato leggere ogni carta, vietato parlare, vietato vedere cittadini: tutte queste cose li aspreggiavano, l’irritavano, li tenevano come mastini a la catena.
In quei giorni di marzo ecco rivoluzione a Vienna e fuga del ministro Metternich: sorge Milano e combatte gloriosamente per cinque giornate e scaccia gli austriaci; sorgono le altre città lombarde, sorge Venezia a la voce di Daniele Manin, e fa uscire lo straniero, sorgono Modena e Parma; Carlo Alberto re di Piemonte, leva la bandiera italiana, ed entra con un esercito in Lombardia: rivoluzione in Ungheria, in Boemia, in Baviera, in Sassonia, nel Wurtemberg, a Berlino, a Posen, in tutta la Germania: l’Europa si apre ed arde come un immenso vulcano. Anche oggi dopo tanti anni a ricordare quei tanti miracoli politici che cominciarono in Palermo il 12 gennaio, sento che il cuore mi palpita più forte, e dico come dicevo allora: “Non è caso cotesto che muove nello stesso tempo tanti popoli d’Europa dalla Sicilia al Jutland; ma è un lavorìo antico e nascosto che si è fatto nella coscienza di questi popoli che sofferivano gli stessi mali.
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