O bisognava rimaner napoletani, senza pensare all’Italia, e stare contenti a lo statuto del 10 febbraio senza andare più in là: o volendo combatter l’Austria e dilargar lo statuto bisognava cacciare Ferdinando, almeno ritorgli di mano tutto il potere che aveva su l’esercito, e lasciargli non altro che il nome di re. Egli aveva ragione quando diceva: “Lo statuto è giurato: bisogna mantenerlo intatto. Che direste voi se lo violassi io? e che debbo dire io se lo violate voi e dopo pochi giorni senza pure aspettare a vederne gli effetti?” Aveva ragione allora, ma quando poi lo violò egli, anzi lo annullò, fece vedere chiaramente che egli allora mentiva, e che il popolo giustamente diffidava di lui. In quelle agitazioni egli ricercò di consiglio il generale Carlo Filangeri, figliuolo d’illustre padre, rispettato per imprese di guerre al tempo di re Gioacchino, uomo di molto ingegno, e astuto, ma negoziante fallito, e però non più pregiato dalla parte liberale come ci voleva. Costui disse al re: “Fate fare tutto ai ministri, voi fingete cedere ad ogni dimanda: una cosa dovete far voi, stringere a voi le milizie, e separarle dal popolo, anzi irritarle contro di esso: lasciate crescere il disordine e l’anarchia, anzi versate olio sul fuoco: ché quando il disordine sarà intero, pochi uomini ordinati opprimeranno tutti: per tornare al servaggio bisogna abusare la libertà”. Il Re si valse del consiglio, e rispose: “Mi hanno canzonato con le chiacchiere: questo mi duole più di ogni altra cosa.
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