A suo tempo risponderemo coi fatti”.
In uno di quei giorni Carlo Poerio mi disse: “Tra il popolo che grida, il re che inganna, e i ministri che non sanno quello che fanno, un galantuomo non ci può stare. Stamane ho dato la mia dimissione: e ti prometto che nella mia vita non accetterò più mai un ufficio pubblico. Non doveva accettare il ministero, e me ne pento, perché chi ha cospirato con tanti, non può contentare le ambizioni di tanti. Rimani tu al tuo posto finché ti sarà consentito dall’onore. Io anderò alla Camera”. Lo avevano ingiuriato, avevan detto che Ferdinando gli dava i sigari e fumava lungamente con lui, e che egli era un traditore. Voci di plebe stolta e sfrenata. Pochi giorni appresso, su la fine di marzo, tutto il ministero non potendo reggere a la tempesta, si dimise senza aver fatto nulla di bene che rimanga: uomini non tristi, anzi rispettabili per molti versi, ma incapaci di governare in quelle burrasche: anche lo stesso Bozzelli a me parve sempre un vanitoso, non un malvagio come poi si disse. Napoletani non intesero che Napoli o doveva salvarsi con l’Italia, o con l’Italia cadere.
XXI - Segue la rivoluzione sino al 15 maggio
La città era stranamente disordinata, senza autorità di magistrati civili o militari, i ministri, non trovandosi ancora i successori, rimanevano al loro posto per ispedire gli affari più necessari. Voci molte, ma nessun fatto reo. Dicevano mille cose: e chi potrebbe ridire tutti i propositi e gli spropositi di quei cervelli bollenti? Fu pubblicato un programma politico che brevemente manifestava i desideri popolari, e ne fu detto autore il Saliceti.
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