Io mi feci come un serpente: “Ma cotesto significa chiudere l’università. Ma chiese e conventi non ce ne sono? ma non avete l’immensa isola dei gesuiti, dove fu il parlamento nel 1820, e dove ce ne possono stare dieci non uno? ma i nostri antichi e tutti gl’italiani non tenevano nelle chiese i loro parlamenti? Chiudere con tavole gli scaffali dove sono i minerali è certamente un danno, pure i minerali non si guastano: ma i libri, ma tanti preziosi libri seppellirli così è distruggerli certamente”. Io ripetevo queste cose nella sala della biblioteca all’architetto che dirigeva i lavori, e che levando le spalle mi disse queste proprie parole: “È provvisorio, non dura molto, ognuno lo capisce”. Ed era vero pur troppo: questo c’era nella coscienza della moltitudine.
Nel ministero d’istruzione pubblica l’Imbriani fece un decreto col quale si toglieva ai vescovi ogni ingerenza nella istruzione: il re fece molte opposizioni, infine lo sottoscrisse: ma questo decreto fu revocato ed annullato primo di tutti gli altri il 16 maggio. Altro che pensare agli studi, l’università era invasa dalle camere legislative, e si pensava mandare i giovani piuttosto a la guerra che a la scuola. Fu nominato Camillo de Meis direttore del collegio medico-cerusico, e non ricordo che fu fatta altra cosa d’importanza. Ma mi ricordo che si perdeva molto tempo e si facevano lunghissime chiacchiere pel teatro San Carlo, che con gli altri dipendeva dal ministero, e il duca di Caianiello che ne era il soprintendente, veniva ogni giorno e parlava parlava parlava di quel benedetto teatro, e si facevano mille disegni, e non si veniva mai a capo di nulla.
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