Così dunque i regi strinsero le Calabrie da ogni parte: i calabresi si apparecchiarono a resistere e chiesero ai siciliani i promessi aiuti, e il giorno 15 giugno il piemontese Ribotti con seicento siciliani sbarcò a Paola, e il giorno seguente fu a Cosenza. E pure il Ribotti fece un grande errore a mettersi così tra il Nunziante, il Busacca e i due mari, senza pensare ad un modo di ritirata, ed essendo a capo di gente che non eran soldati né decisa a vincere o morire. Se i siciliani avessero avuto senno e preveggenza dovevano mandare subito e prima dell’arrivo del Nunziante, una forte mano di uomini a Reggio dove era un debole presidio, e vinto questo facilmente venire su ingrossando ed occupare essi Monteleone; ma indugiarono, ed in ultimo presero il partito peggiore di cacciarsi proprio in mezzo ai nemici. La rivoluzione di Calabria non aveva un’idea potente su le moltitudini, dicevano di farla per mantenere la costituzione, e scacciare Ferdinando che l’aveva violata; non aveva capi e guidatori, ché il Ricciardi compito gentiluomo e liberale entusiasta faceva bei discorsi e larghi disegni, Domenico Mauro, scrittore di rabbuffate poesie e di versi ventosi, era tutto orgoglio e vanti e minacce: Pietro Mileti, antico uffiziale e maestro di scherma buono a combattere, ma di corto vedere, e facile ad accendersi: gli altri buone persone, colti, generosi, stimabili per molti versi, ma non sapevano che fare. Lì si trattava di combattere soldati, e i soldati non li vincono poche centinaia, ma ci vuole tutto un popolo che tolga loro il vitto, che li molesti sempre e in ogni parte con imboscate e insidie, che faccia la guerra senza farsi vedere, e fuggendo e apparendo da ogni lato, e stancando il nemico non dandogli posa mai.
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