Intanto i giornali diffondevano le notizie, che il general Nunziante sul fiume Angitola era stato disfatto, i suoi tutti dispersi, egli morto: che il Nunziante era vivo, che i suoi soldati erano entrati in Filadelfia, e l’avevano saccheggiata, poi avevano saccheggiato il Pizzo, e uccise molte persone, fra le quali il padre di Benedetto Musolino che era un vecchio settuagenario, e il fratello Saverio, e avevano devastata interamente la casa: che calabresi e siciliani presso Spezzano avevano vinto il Busacca e costrettolo a ritirarsi in Castrovillari; poi che i regi si avanzavano vincitori, le bande si scioglievano, i siciliani s’imbarcavano, comitati fuggivano, pochi si ritiravano su la Sila per resistere su quei monti ed aspettare occasioni migliori: che il Nunziante andava sopra Catanzaro con soldati feroci e ladri e sanguinari.
Mentre in Calabria si combatteva, in Napoli si apriva la Camera il primo giorno di luglio. Erano stati eletti gli stessi deputati che furono cacciati il 15 maggio, e alcune città non vollero rifare le elezioni perché non riconobbero l’atto che le annullava. E questo fu pruova di coraggio civile. Il 1° luglio adunque si apriva il parlamento, e non nella sala della biblioteca che è nel palazzo del museo dove si va per via ampia e diritta facile ad esser tenuta da soldati e spazzata da cannoni.
Non ci veniva il re, ma suo delegato il presidente dei ministri duca di Serracapriola, un bell’uomo ed alto, ma con un brutto naso: egli lesse il discorso della corona, nel quale il re lamentava il disastro del 15 maggio, si rallegrava di veder riuniti i deputati, raccomandava di occuparsi delle leggi amministrative, dichiarava le sue immutabili intenzioni di mantenere ai popoli una libertà saggiamente limitata, e invocava a testimoni Dio e la storia.
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