Ci fu conceduto di aver con noi, per farci qualche servigio, quel caro giovine di Vincenzo Esposito, sartore, e fra i quarantadue richiesto anch'egli a 19 anni di ferri. Io non descriverò la crudele agonia di due mesi che sofferimmo in quel luogo, le intere notti vegliate meditando e scrivendo le nostre difese, l'alterna vicenda di speranze e di timori che ci venivano date: le parole dei giudici a noi riferite dagli avvocati, le promesse che si farebbe giustizia, le voci diverse: perché la decisione fece tutto vano.
Finalmente il venerdì 31 gennaio 1851, tre ore dopo il mezzodì, i giudici si chiusero nella camera del consiglio per decidere, e noi stessi nel carcere fummo ristretti più che nei giorni precedenti. Desinammo tranquillamente secondo il solito; e poiché fu venuta la sera, tutti e quattro prendemmo a ragionare. "Faranno giustizia?" "E lo speri?" "Io non credo che saranno tutti malvagi, e qualcuno di essi penserà all'avvenire." "Costoro hanno un'altra logica." "Ricordiamo che questa causa si è fatta per esempio pubblico, e che il governo ha necessità di condanne per giustificare le sue azioni." "Ebbene, io sono disposto a tutto." "Nessuno di noi smentirà se stesso." "A noi condanna, ad essi infamia." "Io dico che da questa decisione dipende la libertà o la servitù del nostro paese: se avranno il coraggio di essere giusti, il governo non farà più cause, e dovrà cessare questa furia d'imprigionamenti e di processi." "Il governo conosce i suoi, e li ha scelti, costoro si brigan poco di patria, di libertà, di servitù, vogliono serbare la toga e niente altro, son carnefici col soldo di cento otto ducati il mese.
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Vincenzo Esposito
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