Don Michele vi chiama sempre a nome, e pare un forsennato: il barone Poerio è afflittissimo, don Vincenzo Dono, don Cesare Braico, tutti ci domandano di voi, come state, che dite, che fate." "Dite loro che noi siamo tranquilli." I custodi ed i chiamatori intendevano di confortarci narrandoci come essi avevano guardati altri condannati a morte per delitti comuni dicendoci che il tale stava dove stavamo noi, e mentre mangiava gli fu partecipata la grazia; e che lì, in un altro angolo della stanza, stava colui che uccise un ispettore di polizia, ed andò a morte. E così udendo i loro discorsi, e le consolazioni che credevano darci, passò buona parte della notte. Infine stanchi ed addolorati dalle pastoie, che non ci lasciavano serbare altra posizione che la supina, cercammo d'addormentarci. Filippo e Salvatore dormirono profondamente: io stetti alcun'ora in uno stordimento doloroso.
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La mattina della domenica 2 febbraio don Ciccio ci portò il caffè, e ci disse: "Ve lo manda don Michele, che vi saluta e vi dice di stare di buon animo. Egli è passato nella carcere comune de' nobili. Tutti gli altri vi salutano caramente". Questi saluti ci furono carissimi, e ci sorprese come si portava il caffè a condannati a morte. Ci disponemmo ad aspettare i Bianchi, e credevamo che entrassero ogni volta che s'apriva la porta. Poco di poi ritornò don Ciccio, mi diede una lettera, e disse: "Vostro fratello, che vi manda questa, vi fa sapere che vostra moglie coi figliuoli, con la moglie del signor Agresti, con quella del signor Faucitano, e con un vostro fratello prete, sono partiti al momento per Caserta". "O dabbene uomo, Iddio possa benedire te, i tuoi figliuoli, e tutta la tua famiglia, dacché non temesti di essere uomo, e desti una consolazione grande a tre condannati a morte.
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