Non potetti più gustare una stilla di sonno.
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Ed ecco il giorno di lunedì 3 febbraio. Don Ciccio venne a portarci il caffè, che fu differente da quello del giorno innanzi, e non fu permesso a Michele di mandarcelo. Dunque ci stringono: brutto segno. Stavamo attenti alle picciolissime cose. Dopo che si fu partito, sentimmo un odore di zucchero bruciato e d'incenso, ed un rumore di gente che va e viene. Dimandammo che cosa fosse, ed un custode rispose che si facevano i soliti suffumigi. Noi osservammo che i suffumigi non si fanno di lunedì, né di zucchero e d'incenso: onde capimmo che erano venuti i Bianchi. Mentre stavamo tra dubbi e sospettosi pensieri, non comprendendo questi indugi, e poi questa subita venuta, torna il custode maggiore e dice: "Il commessario vuole fuori i signori Agresti e Settembrini: levatevi, venite". Salvatore rispose: "Ed io non son degno di essere chiamato dal commessario?" E non disse più. Un terribile lampo mi venne alla mente, guardai il povero Salvatore, e sostenuto da due chiamatori, uscii in quella stanza dove il sabato avevamo aspettato un'ora. Vi trovai il commessario, molta gente, ed il procurator generale, il quale vedendomi divenne pallidissimo, e mi disse: "Don Luigi... in questo stato!" Io fiutando del tabacco che avea tra le dita risposi: "Son sereno come il primo giorno". Egli rivolse la faccia quasi per celarmi il suo dolore: poi volto ai custodi comandò mi togliessero i ferri. Dovetti sedermi a terra, e mentre mi sferravano, io gli dimandai: "E Faucitano?
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