Il procuratore generale con altra gente entrò anch'egli nella nostra stanza, e cavandosi il cappello ci disse: "Signori, il Re vi fa la grazia della sola vita: io griderò sempre: Viva il Re, viva Ferdinando secondo". Noi ci cavammo le berrette, ed io risposi: "Ringraziamo il Re che ha impedita una grande ingiustizia: ringraziamo la corte che ci ha condannati nella sua giustizia: ringraziamo voi, o signore: e ringraziamo ancora la nostra coscienza che non ci rimprovera alcun delitto". Ed egli rispose: "Bene o male che sia, la corte ha giudicato, e non bisogna parlarne: io ho fatto il dover mio e son lieto di avervi annunziata la grazia". Voleva farci salassare, darci un ristoro: noi sorridendo lo ringraziammo, lo salutammo, e rimasti soli ci demmo a ristorare il povero Salvatore.
Poiché fu ristorato alquanto con una tazza di caffè preparatagli da Filippo, tornato sereno disse: "Io non ho voluto gustar nulla di quello che mi offerivano, perché temeva non mi avessero dato qualche cosa per stordirmi, ed io voleva morire con tutti i sensi". "Ma è vero che non ti volevi confessare?" "Chi ha detto questo? Dopo una mezz'ora che ci siamo divisi, sono venuti i Bianchi, mi hanno messo in mano un crocifisso che io ho baciato, e mi hanno condotto nella cappella. Mi hanno detto se voleva confessarmi, ed io ho risposto di sì, e ribaciando il crocifisso ho soggiunto: 'Io mi confesso a questo Dio, gli chiedo perdono de' falli miei, gli raccomando l'anima mia, gli raccomando la sconsolata famiglia mia'. Mi dicevano di non pensare alla famiglia, ma all'anima; ed io rispondeva che doveva pensare ai figli miei, perché Iddio mi ha fatto padre: ed il mio testamento è quel processo che essi leggeranno un giorno.
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