Fatta la decisione, e condannati a morte noi tre, il procurator generale presentò alla corte il reale rescritto. La corte consultò un'ora (ed ecco perché aspettammo un'ora la lettura della decisione), e non trovava la metà dei tre. Io che era il secondo condannato avrei dovuto esser diviso per metà, come il fanciullo di Salomone. Finalmente la corte, osservando che Agresti ed io avevamo avuti cinque voti di morte tra otto, e Faucitano sei, decise che pel solo Faucitano si eseguisse la condanna. Questo espediente spiacque al Ministro di Grazia e Giustizia, spiacque al governo che voleva i capi nostri. Il procurator generale ebbe rimproveri perché dopo la decisione presentò il rescritto alla corte: se l'avesse fatto prima, la corte avrebbe appaiato il numero de' condannati a morte, e certamente io non vivrei, né ora scriverei. Fu bontà, fu sciocchezza del procurator generale, non so. Iddio si serve spesso degli sciocchi e de' buoni. Il procurator generale, combattuto, confuso, incerto, non sa che fare, infine esegue ciò che la corte aveva stabilito, viene a noi e ci fa togliere i ferri. Salvati per errore noi, che eravamo più odiati, fu fatta grazia a Salvatore per stizza.
Intanto udiamo un grande mormorio nella strada, ed il popolo che grida. "La moglie di Faucitano." Venne questa povera donna accompagnata dai figliuoli, dalla sorella, da altre donne, dal fratello di Salvatore. Ella aveva perduta la conoscenza, non vedeva e non riconosceva più il marito, che l'era vicino, e la chiamava a nome.
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