Guardo il mio Raffaello, lo vedo già grande di quattordici anni, ed incomincia ad essere uomo: egli sente fortemente le scelleraggini che tu hai ricevute dagli uomini e spesso ne freme: egli mi guarda, mi vede pallida e scarna, e mi dice: "O povera mamma mia, come vi hanno ridotta i dolori!" La Giulia mi consola e dice: "Mamma, un giorno di questi all'improvviso ci vedremo papà innanzi: non dubitate: voi farete una buona vita". E così, o mio Luigi, io passo i miei giorni fra timori e speranze.
Tutto il passato mi sembra una favola avvenuta ad altre persone, poiché mi sembra impossibile che sia avvenuto a me. Io non ho cuore di ricordarmi il passato, ma pure voglio fare forza a me stessa: ed Iddio mi darà forza di scrivere i miei dolori, come me la diede per soffrirli. E poi non siamo noi compagni di ogni dolore? Non mi hai tu scritto tutto perché sai che io ho la forza di leggerlo? Sì, Luigi mio, il cuore della tua Gigia è sempre lo stesso: se si è consumato il mio corpo, in questo io non ho colpa; ma l'anima mia sarà sempre salda fino alla morte. La tua povera Gigia non ha avuto altro nel mondo che un'anima instancabile nel soffrire: e pare che la natura mi abbia fatto così perché io era destinata compagna di un uomo che dovea soffrire tutta la sua vita. Se dunque è così, leggi questa mia povera scrittura. Ma che dico? Chi sa quando ci rivedremo, chi sa quando tu potrai leggere questa lettera lunga che io ti scrivo per consolarmi coi miei stessi dolori. Io non ho altra mira che di narrarti quello che ho sofferto, e di farlo tenere a mente ai nostri figliuoli.
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