Chi può dirti che scena fu quella! pure dopo di averli fatto sfogare un poco il dolore, comandai loro che non facessero più strepiti e che soffrissero con più dignità. Quel santo sacerdote esortava i poveri figli a sperare in Dio e nella Vergine. Tutti gli altri stavano concentrati in atto di terribile dolore. Io cominciai a pensare profondamente, e poi presi a leggere la tua lettera che sino a quel punto aveva tenuto nascosta. E così immersa in quel dolore me ne tornai a casa. Arrivata a casa, tuo fratello Vincenzo mi disse come tuo fratello Peppino con gli avvocati era andato a Caserta. Questa parola "Caserta" mi fece tremare. "Si va a domandare grazia dal Re: dunque veramente Luigi è condannato a morte? già è stato condotto in cappella. E si avrà la grazia?" Tutto questo io meditava, e rare volte parlava. Vincenzo tuo fratello volle leggere la tua lettera ad alta voce: piangeva egli e chi l'ascoltava. Poi cominciò a venire molta gente, molte persone che io non aveva mai vedute; poche persone amiche io vidi, ché molte non ebbero il coraggio di vedermi in quello stato. Infine la mia casa divenne sede di pianto e di dolore: tu ancora vivo eri pianto come morto. La sera dovetti pormi a letto perché mi sentiva aggravata la testa da forte dolore. Dopo un poco venne da me l'egregio avvocato Castriota, e pieno di affetto e di dolore mi assicurava della grazia per te e pel signor Agresti, mettendo in dubbio quella pel Faucitano: io sentiva dolore per tutti, sperava e non sperava, e mi sentiva straziare.
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