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      Sì," rispondemmo, "e siamo venute per parlare al re." "Mi pare difficile," riprese, "perché vi sono ordini contrari, e neppure i vostri avvocati sono stati ricevuti. Ma sperate in Dio che tutto può." Noi all'udire le umane parole del soldato ringraziammo Iddio che non eravamo scacciate con le armi. Quel giovine dabbene vedendoci tremare pel freddo ci fece entrare nella sua garitta, ch'era ben grande, e fremendo diceva: "Ha finito coi calabresi, ed ha cominciato coi napoletani. Io non posso farvi portare una sedia, né darvi un soccorso, perché appena il Re vede fare un atto di umanità dice, che anche noi siamo della pasta, e guai a noi". "Lo so," dissi io, "lo so, oggi, e qui l'umanità è peccato." Peppino ci fece sentire che non v'era da sperare per quella notte, e che bisognava aspettare il dimani.
      Cercammo di trovare un albergo, ma nessuno volle ricevere le famiglie de' condannati a morte. "Ma come," diceva Peppino, "non avete letti, non una stanza in un albergo così grande?" "Non abbiamo niente: ma voi chi siete, che venite da Napoli a quest'ora? che siete venuti a fare?" "A te che importa a sapere de' fatti altrui?" "Non ho letti, andate via." Respinti da ogni parte, fermati in mezzo la piazza di Caserta, intirizziti dal freddo con cinque bambini, non sapevamo che risoluzione prendere, era passata la mezza notte, ci ricoverammo nelle carrozze. Ma il freddo grande, la puzza della stalla vicina, la stanchezza de' corpi, i dolori che ci tormentavano, i tre bambini di Faucitano gittati vicino alla madre, i figli nostri vicino a me, noi non potevamo nemmeno poggiare la testa.


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Ricordanze della mia vita
Volume Secondo
di Luigi Settembrini
pagine 356

   





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