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      Tutti hanno loro coltelli, che chiamano tagliapane, spesso lunghi quanto una spada, e lavorati con arte fina, e con ornamenti di argento. Pare impossibile che uomini chiusi in un ergastolo, su di uno scoglio lontano, vigilati severissimamente, minacciati da terribili castighi, possono avere armi, e tante; ma essi vi spendono ogni denaro, e se ne fanno portare dai custodi e dai serventi, i quali loro vendono lime e pezzi qualunque di ferro, cui essi dànno la forma di stile. Talvolta raccolgono chiodi, e bullette, strappano gangani dalle porte, rompono pezzi di bandelle, svellono i ferri che uniscono i piperni, rubano maglie di catena, li gettano nel fuoco, e la notte tra due pietre, l'una che serve da incudine l'altra da martello fanno di queste armi maravigliose. Le nascondono nelle mura, sotto le selci del pavimento, negli arnesi di legno sbucati e turati diligentissimamente, e qualche sottile lama avvolta in cenci taluno ard́ nascondersela nell'ano. Per ritrovarle i custodi usano diligenza incredibile: ricercano le persone e le fanno spogliare nude; rovistano tutte le masserizie, sconnettono le pietre del pavimento, staccano l'intonaco dalle mura, e spesso non giungono a ritrovarle, se da una spia non sanno il luogo certo del nascondiglio. Raccontano che pochi mesi fa venne da Napoli un uffiziale maggiore con un battaglione di soldati, e fattili schierare nel cortile, fece gridare che i condannati dovessero gittar le armi fra tre ore, e chi ne avesse serbata una sarebbe stato fucilato.


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Ricordanze della mia vita
Volume Secondo
di Luigi Settembrini
pagine 356

   





Napoli