Li vedi bevendo e ribevendo parlar lungamente, ricordar cose accadute molti anni prima, vecchie e perdonate offese, e ad un tratto far gli occhi strani, levarsi, far lago di sangue e di vino. I loro combattimenti non sono forti, e direi generosamente scellerati, ma traditori e vigliacchi: molti s'avventano su di uno che siede o che dorme, e lo feriscon di dietro; o mentre passa innanzi una porta gli cacciano un pugnale nel fianco. Una rissa ne genera molte per molto tempo: gli amici ed i paesani raccolgono l'eredità dell'odio e della vendetta: l'uccisore è ucciso da un altro, e questi da un altro, e così sempre. Se la rissa si accende in un piano inferiore, vedi dal superiore volar pietre, scagliar fornacette che schiacciano le membra, correre, inseguire, ferire: odi grida terribili e strazianti, urla, bestemmie, e par che tutto l'ergastolo tremi dalle fondamenta. La sentinella che sta nella loggia chiama i compagni all'arme: e quando tutto è cessato viene il comandante, gli agozzini, il chirurgo, il prete: i feriti vanno all'ospedale; i morti nella sepoltura al cimitero, agli altri si prepara il castigo: tutti i condannati chiusi nelle celle sono concitati da ira, da pietà, da gioia feroce, da diversi e strani affetti.
Per impedire questi orrori non basta il senno e la vigilanza de' comandanti, non le battiture, il puntale, le traverse, le manette che sono gli aspri castighi che si dànno ogni giorno a chi commette i più lievi falli ed i più gravi. Il colpevole è disteso bocconi sopra uno scanno in mezzo al cortile, e da due agozzini con due grosse funi impiastrate di catrame ed immollate nell'acqua, è battuto fieramente su le natiche, e su i fianchi ancora e sui femori.
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