Stava egli però pieno di sdegno e di mala voglia: una notte mentre egli falciava il fieno, un pastore lo avvisa che il suo nemico e percussore era poco lontano; egli corre, e con la falce gli taglia il capo, e gli fa tante ferite quanti schiaffi ed oltraggi aveva ricevuti: gli ruba settantacinque piastre che aveva in cintura, e lascia il corpo che fu divorato dai lupi. Il pastore lo denunziò, un suo cugino lo fece arrestare: dannato a morte, per grazia vive nell'ergastolo: intanto il fratello uccise il pastore ed il cugino, e fu spento anch'egli da altri. Il quinto è un pugliese che era garzone di un fittaiuolo, al quale un altro contadino tolse un fondo: il fittavolo con questo garzone ed un altro mettesi in agguato: uccidono e rubano il contadino, e son condannati tutti e tre all'ergastolo.
Questi cinque uomini sono tra i condannati migliori e più tranquilli, non mai li ho veduto ubbriachi, non mai rissarsi fra loro, e sono qui da assai degli anni. Quando co' due miei amici io entrai nella cella, essi non avevano più che farci e che offerirci, si dolevano di esser poveri e di non poterci offerire un pranzo, ciascuno di essi volle un giorno pagare il caffè per noi, ci dettero i loro posti, e qui il posto è caro quanto la casa, fecero ogni opera per fornirci di letti, ora ci servono studiosamente. E non solo essi, ma tutti quest'infelici che sono nell'ergastolo ci usano cortesie, ci vorrebbero confortare, e ci dicono ch'essi sanno che noi siamo qui perché volevamo il bene di tutti, ed anche il bene de' condannati.
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