Eppure eravamo contenti!
Dopo sette anni il 23 giugno 1849 fui arrestato un'altra volta: i miei figli volevano piangere, la madre li sgridò innanzi all'Ispettore di polizia, dicendo loro che i figliuoli non debbono piangere quando il padre è carcerato per causa d'onore. Piansero un'altra volta quando fui richiesto a morte: piansero quando udirono ch'era stato condannato a morte, e mi abbracciarono uscito dalla cappella. Mia moglie, la mia diletta e forte Gigia, non pianse mai, la misera non ha avuto mai il conforto del pianto: tanto il dolore l'ha impietrita! Ma io solo conosco gli strazi del suo cuore.
Io sto per compiere il trentesimonono anno di mia vita. O mia diletta Gigia, quanti anni abbiamo penato, quanti pochi anni sono stati sereni per noi! In che abbiamo adoperato la vita? In soffrire: a sofferir sempre, e sofferir tutto. Mai il sorriso non è spuntato sulle nostre labbra, mai non abbiam potuto dire: ecco un giorno lieto per noi! E che abbiamo noi fatto da dover sofferire tanto, e sempre? E perché ci fu data la vita, se dovevam vivere solamente per sentire ogni strazio? O Dio, padre degli afflitti, quando avrai pietà di noi? che cosa ci hai preparato nel futuro? altri dolori, o un poco di pace? Mira come la mia donna ed io siamo stanchi e deboli, e come i poveri figli non hanno sentito finora che afflizioni, e sono in sul fiorire della vita! Abbi pietà di queste due povere pianticelle, difendile dal rigore del tempo e dalla mano dell'uomo che vorrebbe schiantarle: abbi pietà delle anime loro, difendile dal vizio e dal peccato.
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Ispettore Gigia Gigia Dio
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