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      Ma perché dubito che egli non mi abbandoni, se io lo sento, se ha cura della mia famiglia, se ha toccato il cuore di uomini onesti, ed a me sconosciuti, che han preso pensiero del mio Raffaele? Io ho detto: che ho fatto per essere tanto infelice? doveva dire: che ho fatto per pretendere di essere felice? Che cosa onesta io ho dimandato a Dio, e non ho avuto? Osai dimandargli anche quello che tutti i saggi amano, la fama: e l'ebbi: ma io voleva averla per opere d'ingegno grande, e Iddio volle che io l'avessi per dolori grandi. Bisogna adunque che io rispetti il destinato: ancora coi miei dolori io posso recare utilità agli uomini, mostrando come si deve sofferirli. O voi che volete sapere come io fo a sofferir tanto, uditemi: io porto un grave fascio di affanni e di tormenti, io cammino nel buio e tra precipizi sicuramente, perché ho sempre l'occhio levato al cielo. O mia cara e sventurata compagna che con minori forze porti fascio più grave, leva gli occhi di pianto al cielo, né moverli punto dal cielo: colà voleremo, colà ci troveremo, colà ci ameremo di amore così dolce come fu quello dei primi giorni delle nostre nozze quando entrambi giovanotti ci amavamo con tutta l'ebbrezza della gioventù, colà non piangeremo più, colà avremo quella pace che ci fu negata in terra. E voi, figliuoli miei, o parte della anima mia, apprendete dai vostri genitori come si deve sofferire. Se il vostro fascio sarà di dolori, levate gli occhi al cielo: se sarà di piaceri, o cari miei, ei sarà più difficile a portarsi, vi sarà più grave, e però dovrete con più forza levar gli occhi in alto, e tenerli fisi in Dio.


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Ricordanze della mia vita
Volume Secondo
di Luigi Settembrini
pagine 356

   





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