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      È poverissimo, ma non sudicio, pieno di debiti, spesso senza neppure il pane tra perché spende in cose che non sono necessarie se non alla sua vanità, e perché ha dato malleveria e protezione a certi ergastolani che sono nati in condizione gentile, i quali furbi e tristi, veduto il nuovo pesce, lo carezzano, lo ravviluppano, lo spogliano, ed egli un poco se ne sdegna, un poco li compatisce e sempre si compiace di aiutare e proteggere galantuomini. Fu condannato a morte per omicidio e furto, per grazia venne nell'ergastolo, dove è da ventinove anni, donde non spera di uscirne come il Nasone per grazia, ma per un rivolgimento del mondo, che accaderà nel modo che egli immagina; e poi quando sarà libero si prenderà quei suoi denari sepolti, torrà moglie giovane, si fabbricherà una casa, e non si occuperà di altro che di nutrire in una grande aia un'immensa quantità di galline, di tacchini, di papere, di anitre, di pavoni e di ogni maniera di polli. Chi non fa i suoi sogni? chi non ha le sue speranze? Anch'io fo i sogni miei, ed ho le mie speranze in questo sepolcro dov'è morta ogni speranza!
      Santo Stefano, 22 marzo (1854).
      Che ho fatto io in questi dodici giorni? Niente se non sofferire e nell'anima stanca, e nel corpo stanchissimo. Ogni cosa mi è grave, mi fa dolore, mi spossa: vorrei non pensare, e credo che la morte non debba essere quella mala cosa che tutti la tengono, perché in essa non v'è il pensiero, non v'è la coscienza di essere, non v'è il sentimento del dolore. La morte fa paura; e a me fa paura la vita, e troverei un po' di quiete nel nulla donde sono uscito, e dove ritornerò dopo di aver valicato un mare di dolori e di miserie senza numero e senza modo.


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Ricordanze della mia vita
Volume Secondo
di Luigi Settembrini
pagine 356

   





Nasone Stefano