Io fo come Giobbe, mi siedo sul mio letamaio, scopro le mie piaghe e le riguardo, vedo i vermi e la pudredine che mi rodono, e nell'amarezza del dolore involvo sententiam meam sermonibus imperitis. Io non so che mi dico, e spesso il dolore mi fa la lingua bugiarda. Ma seguitiamo a dipingere i compagni della mia cella.
Il terzo è un omiciattolino di civile condizione, nato in un paesetto presso Napoli, e carcerato fin da quando era giovinetto di sedici anni. Bruno, acceso, butterato, facile ad infiammarsi come un solfanello, giuocatore, bevitore, pronto e veloce come una vespa, con certo buon senno, con alquanto garbo di maniere, ed ora per l'età e i patimenti meno stizzoso. Uccise un prepotente che, essendo congiunto del ministro Delcarretto, perseguitava lui e suo padre: e fu condannato a venticinque anni di ferri: in carcere fece il camorrista, uccise un altro, ed ebbe altra pena di ventidue anni di ferri nel presidio. Due pene cumulate che oltrepassano i trent'anni si espiano nell'ergastolo: egli è qui da ventidue anni: e non desidera, non sogna, non chiede altro che andare ad espiare nel presidio la seconda pena. Ventidue di ferri nel presidio gli sembrano un paradiso a petto dell'ergastolo perpetuo! Costui del mondo conosce quello che un uomo onesto conosce della galera: dice che gli pare d'essere nato in carcere: non parla che di carcere e di carcerati, o del suo vecchio padre, unica persona del mondo a cui egli è legato di affetto. Vende, compera, va, viene, non trova posa, ha sempre faccende per mano, fa servigi a tutti, fa conti, legge, e se talora trova dipinto in un romanzo qualche scellerato, egli lo abborrisce, si sdegna, e con terribili parole dice che saria stato bene a punirlo con una brava coltellata.
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Giobbe Napoli Delcarretto
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