Nel cuore anche dei tristi è il sentimento d'una giustizia, la quale essi vogliono per gli altri, e non per sé e a modo loro.
Il quarto è un bestione, rosso di peli, con tre denti in bocca, che per omicidio e furto è qui da ventitré anni: è di un paese di Terra di Lavoro. Costui fa qualche servigio a Silvio ed a me: a me pochissimi, perché io amo farmi ogni cosa da me, e sento un certo orrore a riguardare le mani di costoro. Io vo superbo che in certo modo basto a me stesso, e non ho bisogno d'altri che in poche e piccole cose. Per qualche mese il giudice ci faceva i servigi, ma voleva parlar molto, moltissimo, voleva fare quello che voleva e a modo suo, e con le parole si sforzava dimostrare che faceva benissimo: spesso doveva fare io servigi a lui. Ora il poveretto ci fa anche egli qualche servigetto, e contiene la lingua quanto può: ma spesso la scatta, e corre velocissima come la molla che rompesi in un orologio.
Il quinto è il calzolaio. Nato in un villaggetto appiè del Matese, ha il sangue, la fierezza, la durezza d'un antico Sannita. Il lavoro che santifica tutto, e la presenza di uomini che parlano di virtù han fatto aprire gli occhi a questo sciagurato, che certo non nacque per essere un ribaldo, perché ora conosce i suoi errori, e li piange maledicendo chi non lo educò, uno zio che lo menò alla via della perdizione, e i cattivi compagni. Quest'uomo che a quarantaquattro anni ha i capelli grigi, serba tutta la forza e la gagliardia di un giovanotto: e racconta i vari e poetici casi della sua vita con una ruvida espressione poetica che è impossibile ritrarre, con gesti e tuono di voce terribili ma non dispiacevoli.
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Terra Lavoro Silvio Matese Sannita
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