O mio caro Gennarino, caro e sfortunato giovane, se molti ti udissero e ti conoscessero come ti ascolta e ti conosce l'amico tuo, molti ti amerebbero come io t'amo.
Fa cuore, o mio Gennarino, Dio certamente non vorrà che un sì bell'ingegno, sì bel cuore, sì schietta anima si perda nell'ergastolo.
Non si male nunc et olim sic erit. Non è senza un perché cotesta confidenza, cotesta lietezza che ti sta nell'animo; ed è certo presagio di un avvenire men reo!
Che se altrimenti è scritto di noi, se dovremo penar qui per lunghi anni, e forse qui morire, ti sia conforto l'affetto e la stima di un amico, il quale, essendo sventurato come te, non ti chiede altro se non che tu seguiti a riamarlo.
Santo Stefano, 1 dicembre 1854.
...Son passati sei anni, e chi sa quanti altri ne passeranno, e quanti pochi di noi usciran vivi di questo naufragio! Alcuni de' miei compagni, specialmente i più vecchi, sperano e credono che usciranno tra breve, e da che sono entrati in carcere hanno sempre sperato e creduto che fra un mese, fra due, fra sei, fra un anno al più sarebbero fuori: e se talvolta si dice loro che hanno sempre sperato e creduto invano, essi rispondono che oggi non è come ieri, e dimani non sarà come oggi. Quanto io li invidio! quanto vorrei anch'io così credere e sperare! Desidero sì, ma spero poco. C'è tra noi un vecchietto di sessantadue anni, arzillo e allegro, il signor Michele Aletta di San Giacomo in provincia di Salerno, il quale da che venne nell'ergastolo quattro anni fa ha detto e dice sempre, che egli sta qui provvisoriamente, che uscirà nel mese corrente.
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