La mattina come apriamo gli occhi, ciascuno, come tra persone oziose, racconta i suoi sogni, che sono fantasie stranissime. Ravvolti i letti, e spazzata la stanza ciascuno pensa a cuocersi il cibo, che è fave, o fagiuoli, o ceci, o lenti, o pasta e raramente si ha un po' di carne o un po' di pesce, e non da tutti. Mentre i fuochi ardono, e le pentole bollono (finalmente dopo tante fatiche abbiamo potuto dimostrare e persuadere che i carboni sono innocenti nelle mani nostre, e che ci servono per cucinar e non per fabbricare coltelli), alcuni fumano, alcuni passeggiano, altri chiacchierano a sproposito, altri legge, altri scrive, altri fa niente, altri sbeffa; spesso sembriamo una gabbia di matti. Mezz'ora prima del mezzodì ciascuno spiega una salvietta su le tavole del suo letto, o sovra a un tavolino che s'apre e si chiude come un libro, pone su la salvietta un pane, un orciuolo o un bicchiere d'acqua, una scodella entro cui versa il cotto, e quasi tutti a un tempo pranziamo, e compagnescamente l'uno offre all'altro di ciò che ha. Pochi mangiano a coppia: quasi tutti soli; spesso per un giorno o più si uniscono due o tre, poi ciascuno torna solo. Le continue sofferenze ci han renduto tutti bisbetici; la mancanza di ogni libertà fa desiderare a ciascuno di essere liberissimo in ciò che egli può. L'ergastolano è un uomo d'eccezione, diverso da tutti gli altri, anche dagli stessi condannati ai ferri; certi giorni, certe ore del giorno ha la febbre. Se si facesser tra noi alquante compagnie, se uno in ciascun giorno o in ciascuna settimana, avesse l'incarico di provvedere o di cucinare per gli altri, costui avrebbe un peso enorme, si sentirebbe oppresso da un giogo insopportabile.
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