come il tempo continuo
non distinto per ore,
né altro se ne sente
che il dolore del niente.
Questa vostra ragione
s'affatica s'affanna
con un bocciuol di canna
far bolle di sapone:
che vaganti, tremanti,
infine si disciolgonoin gocciole di pianti.
Ed a voi par che in mano
tenga del mondo il perno,
e ne sieda al governo.
Sì, ne avete le prove!
Quanto riso mi muove
questo genere umano!"
Questa voce crudele
il cor m'empie di fiele.
O mia mente perduta, dove sei?
Salvami da costei.
Santo Stefano, 22 agosto 1855.
Da quanto tempo non piglio queste memorie! Me n'ero proprio dimenticato, come mi sono dimenticato di tante cose. Quante cose vi avrei scritto in quattro mesi da che non le tocco, se avessi voluto e potuto scrivere in esse tutto ciò che ho sentito!
Da un mese son ritornato nell'ergastolo, nell'orribile pandemonio. Silvio ed io abbiam dovuto lasciar la quiete di quella stanza, la veduta della campagna, e tornare in un camerino, dove siamo cinque politici, Silvio, Gennarino, De Simone, Calafiore, ed io. Come è brutto l'ergastolo quando vi si ritorna! Il camerino, che era uno di quelli che appartenevano all'antico ospedale, ha il numero 25, ha una finestrella che guarda un pezzo di Ventotene, proprio quello dove sorge il tristo camposanto, e lo spazio di mare che è tra l'isola di Ponza, e Monte Circello fino a Terracina.
Mia moglie nel mese di aprile chiese permesso e passaporto per venire a vedermi dopo tre anni: le fu dato il passaporto il primo giorno di giugno: ella era per venire, ma la Giulia cadde ammalata.
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