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      Povera figliuola! gentil fiorellino di candidezza e di freschezza. Io la vidi bambina, ora l'ho riveduta donzella, e non mi par vero. Quanta mestizia ha nei begli occhi, e nel volto! Così tenera, così afflitta! O Giulia mia, o colomba mia innocente e cara, dove sei ora? perché io non ti vedo? Ella è stata richiesta da un buono e bravo e colto giovane, che non teme d'avvicinarsi alla famiglia d'un ergastolano politico. Qual dote io posso dare alla diletta figliuola mia? Mi venne un pensiero: farle dono della mia traduzione di Luciano, cederne a lei la proprietà: e questo pensiero mi ha riaccesa la vita, rischiarata la mente, cresciute le forze. Io non penso, non leggo, non iscrivo altro: mi pare così bello e dolce il lavorare, che prima mi stancava e mi noiava: sento una baldanza allegra che io posso anche nell'ergastolo lavorando giovare alla mia creatura: sento la dolce compiacenza che sentivo una volta quando lavorava, e del frutto del mio lavoro sostentava la mia famiglia! Non trovo più difficoltà, non sento più stanchezza, lavoro facilmente, tutto mi riesce secondo il mio concetto: le carte che scrivo mi paiono abbellite dal sorriso della mia Giulia, la quale mi sembra che venga a sedersi vicino a me, e legga ciò che io scrivo e mi sorrida, e m'incoraggi a lavorare. Dacché ho questo pensiero io mi sento più che io. Picciolo è il dono che io posso farle, ma altro non posso: vorrei potere la Gerusalemme, e dargliela, ma dov'è l'ingegno?
      Quando elle erano qui, in alcune ore della mattina ed in alcune del giorno, nelle ore di udienza, noi eravamo insieme: io stava in mezzo a loro, e tenendo fra le mie una mano di mia moglie ed una mano di mia figlia, ragionavamo: io guardava ora l'una ora l'altra.


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Ricordanze della mia vita
Volume Secondo
di Luigi Settembrini
pagine 356

   





Giulia Luciano Giulia Gerusalemme