Il Cavour mi guardò sorpreso, e dette alcune altre parole mi accomiatò con molta cortesia.
Bisognò tornare a Genova, e lì aspettare la risoluzione del ministro. E mentre aspettava, e i danari scemavano, venne da Napoli una lettera che la Giulia era travagliata dal parto. Io non ebbi più pace, mi disposi a tornare, chiesi il passaporto, e il console me lo negò dicendo che per ordine superiore io non poteva più tornare in Napoli. "Ma che cosa ho fatto io che debbo rimanere qui in esilio, e lasciare mio marito prigione in Napoli, e mia figlia?" "Siete stata a Torino." "Ma per i miei affari, per parlare per mio figlio." "Sono ordini superiori venuti da Napoli." "Ma perché mi hanno fatto partire? Ordini crudeli, spietati, capricciosi." Io non so quello che dissi, io mi sentii gettata così in esilio in un paese non mio, senza mezzi. Oh come fare? Non dormivo, non aveva più un momento di riposo, credevo di uscir pazza, sentiva un dolore che mi lacerava il petto. Io era stata sempre spiata e una volta m'accorsi di una persona che era nascosta dietro la porta della mia camera, e quando aprii la porta fuggì via, ed io credetti fosse un ladro, ma era una spia. La prima volta non ebbero che riferire, perché io ero sempre intorno al povero figlio ammalato: la seconda volta mi videro andare a Torino, dove il ministro napolitano Canofari mi fece vigilare, e riferì, ed io non potei più tornare per ordine proprio di re Ferdinando II. "Oh questo crudele Ferdinando quanti dolori che mi ha dati!
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