Infine il Settembrini non crede che gli possa nuocere l'accusa data dal procuratore generale di detenzione di stampe vietate, perché in questo non è reato. Fu trovato tra le sue carte una stampaccia intitolata l'Eremita fra Giovanni, nella quale si parla ingiuriosamente delle persone reali. Questa carta non poteva essere approvata dal Settembrini né per la materia, che è sciocca, né per lo stile che è barbaro; né come documento storico che è una declamazione bestiale. Egli dunque non poteva stimarla, non poteva usarla, e chi lo conosce afferma che doveva disprezzarla. La teneva gettata, dimenticata; la teneva come molte persone oneste terranno ancora di quelle stampe disoneste: come tutti tengono il giornale il Tempo. Non v'è delitto senza volontà di delinquere; ed egli non poteva aver volontà di serbar questa carta sciocca; della quale la gran corte farà quel conto che si fa delle cose sciocche.
Il Settembrini spera che la corte troverà buone queste ragioni, e si persuaderà che egli non è né capo setta, né autor di proclami. Se egli sarà giudicato con la legge e con la libera coscienza del magistrato, questa carta basterà a chiarire come egli è scelleratamente calunniato dalla polizia e dalla fazione che lo abborrisce credendosi offesa; ma se l'odio antico calpesterà ogni legge, e si vorrà vendetta cieca e condanna, egli soffrirà tutto perché l'età, le lunghe sventure e gli studii gli hanno insegnato a sopportar dignitosamente ogni fortuna. La gran corte giudicherà di lui, ma essa sarà giudicata da Dio, dalla sua coscienza, e dalla incorruttibile opinione di tutta l'Europa civile.
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