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      Conoscetemi prima, e poi giudicatemi.
      Io mi son uno che ho vissuto sempre fra i libri, dai quali sventuratamente ho cavato pochissimo profitto e molti dolori: nel mondo porto una faccia di mezzo balordo, e parlo poco perché non so parlare. Aveva ventitré anni, e dopo un esame in concorso fui eletto professore d'eloquenza nel liceo di Catanzaro. Dopo tre anni e mezzo nel 1839 fui accusato insieme con altri di appartenere alla giovine Italia e condotto a Napoli fui gettato in un criminale, dove stetti per ventisei mesi senz'altra compagnia che le mie sventure e quelle della povera mia famiglia. Fui giudicato dalla commissione di stato, tribunale che faceva spavento pel processo segreto, l'avvocato officioso, la procedura breve, e il presidente Girolami: ma, conosciuta la nostra innocenza, ci assolveva. Allora il ministro di polizia, che ci voleva condannati, diceva al re, che la commissione era stata ingiusta, noi rei: e però proponeva di far rivedere il processo, e mandar noi provvisoriamente in galera. Il re giusto non permise si violasse il giudicato, comandò che ciascuno di noi tornasse al suo paese; ed io perché napolitano rimasi in Napoli. Uscii finalmente nel 1842 dopo tre anni e mezzo d'immeritata prigionia, dopo quindici mesi che fui assoluto. Non ho cuore di ricordarmi quello che ho patito in quei terribili tre anni e mezzo, perché la memoria dei grandi dolori è sempre un dolore: e farei piangere ognuno se narrassi quello che patì la povera moglie mia, la quale mi diede una figliuoletta mentre io era in criminale e non potetti vederla e benedirla; la quale sofferì ogni dolore, ogni più crudele angoscia; parlò per me ai giudici, ai ministri, al re; sofferiva più di me, e mi nascondeva le sue sofferenze per non accrescere le mie.


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Ricordanze della mia vita
Volume Secondo
di Luigi Settembrini
pagine 356

   





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