Ritornato fra gli uomini vivi, mi furono chiuse tutte le vie per procacciarmi un pane onorato, mi fu negato di aprire uno studio di letteratura, si volle che io vivessi soltanto per sofferire, si tollerò che andassi correndo ed insegnando per le case altrui. Strascinai questa vita sino al 1848 dividendo i pensieri e gli affetti tra la mia famiglia e i miei studii, ignoto quasi a tutti, sempre solitario, non diedi alla polizia alcuna cagione di riprendermi in minima cosa.
Mutarono i tempi ma io non mutai la mia vita ed i miei desiderii. Il re generosamente ci diede una costituzione, ed io me ne rallegrai, perché vedeva che questa sarebbe un gran bene pel re e pel popolo, perché sperava finiti gli abusi, le ingiustizie, gli arbitrii, che aveano prodotto per ventotto anni tanto male al nostro straziato paese. Onde tra i primi e pazzi furori della stampa io scriveva il 18 febbraio una lettera ai ministri, nella quale li pregava di essere forti e giusti, non distruggere tutto il vecchio perché il vecchio non era tutto pessimo; diceva non essere né giusto, né onesto, né utile che quegli uomini i quali in tempi corrotti servirono lealmente il re, e non abusarono del potere che avevano, fossero mandati giù in fascio coi ribaldi: diceva che resistessero forte alle sfrenate ambizioni di alcuni che si dicevan martiri perché avevan gridato un evviva o erano stati tre giorni in prigione: desiderava che la Sicilia fosse tornata al nostro principe, che nessuno avesse dormito, avesse mangiato, si fosse riposato, prima di finir questo affare: e pregava la maestà del re ed i ministri di provveder presto a questo male.
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Sicilia
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